In questo momento mi sento come un bambino che è arrivato in ritardo a scuola e cerca di trovare una giustificazione accettabile da dare alla maestra.
Hai presente quell’ansia generata dal fatto che lo sai benissimo che l’insegnante non ti perdonerà e ti guarderà perplessa con quel maledettissimo sopracciglio alzato? Bene, io ho fatto qualcosa di ben più grave, una nefandezza che non può essere liquidata con un finto certificato medico scritto su un foglietto a quadretti. Sto parlando del fatto che ho finito di vedere la prima stagione di House of Cards – Gli Intrighi del Potere solamente stamattina, dopo ben tre anni dall’esordio su Netflix della prima puntata.
Lo so che è grave, ma tant’è. Tuttavia un vantaggio nel vedere una serie dopo alcuni anni dall’uscita esiste, e consiste nel fatto che hai il tempo di accumulare diversi feedback. Questo ti permette di avere già uno schema mentale basico riguardo la tematica della serie che poi, quando è il momento di godertela in tv, permette di focalizzarti meglio sui dettagli. E la verità è che anche quelli sono impeccabili in questa produzione scritta e interpretata magistralmente da un immenso Kevin Spacey.
Il Roger “Verbal” Kint de I Soliti Sospetti dà vita al cinico Frank Underwood, capogruppo del Partito Democratico al congresso degli Stati Uniti, il quale, furioso per la attesissima ma mancata nomina a Segretario di Stato, escogiterà un piano per scalare le vette più alte del potere a stelle e strisce. Frank è un leopardo della politica: elegante, magnetico e affascinante alla luce del sole, ma sempre pronto a sferrare i suoi agguati improvvisi e silenziosi nell’ombra. I palazzi del potere di Washinghton, DC sono il suo terreno di caccia mentre i politici da sfruttare, i sindacati da ricattare e le istituzioni da raggirare sono le sue prede.
Affiatata complice di “Francis” è Claire Underwood: un’affascinate donna in carriera, capace di sostenere le sporche manovre del marito con grazia disarmante. Pian piano si intuisce che Claire è forse ancora più famelica di potere del marito, salvo velarne molto di più l’apparenza. Per questo è un colpo al cuore che proprio Robin Wright debba calarsi nei panni della signora Underwood, lei che ventidue anni fa urlava a squarciagola:«FOOORREEEEST!!!» davanti al Monumento a Washington, in quello che è sicuramente uno dei film più belli di sempre: c’è un vero e proprio oceano di differenze fra la purezza di Jenny e ll pragmatismo disilluso di Claire.
Ma ciò che ti terrà incollato alla TV è il fatto che l’immenso Kevin esce dalla scena per interloquire con te e spiegarti cosa ha realmente intenzione di fare, che è solitamente tutto il contrario di quanto dice durante la scena. Perciò sarai l’unico eletto a conoscere la complessa architettura del grande piano che il gargantuesco Kevin sta progettando.
E allora lo cercherai e lo aspetterai, non vedrai l’ora che si giri verso di te per confidarti quale legge passerà,quale politico cadrà. Solo allora realizzerai che Caparezza ci aveva visto giusto quando, dopo essere uscito dal Tunnel del Divertimento per andare a ballare in Puglia, sbraitava profetico:«BOOOOM!! AND THE WINNER IS KEVIN SPACEY!!”»