Cremuzio Cordo, storico romano e difensore di quanti difesero gli ideali della repubblica romana, fu vittima della real politik, dei vincitori imperialisti, e pagò la strenua difesa delle sue tesi col rogo dei suoi “annales” con il suicidio, e poi ancora, con il rogo di un libello alla sua memoria scritto da Seneca. Il suo processo, basato sull’accusa “maiestate” fù sostanzialmente un processo alla libertà di pensiero e di parola.
La storia, raccontata dai vincitori, dimentica spesso di precisare sia le ragioni della lotta; sia le opposte ragioni degli sconfitti, dilungandosi ampiamente sulle ragioni della vittoria e,noiosamente, sul valore dei vincitori.
Cremuzio Cordo è così assurto a simbolo della obliterazione del libero pensiero e della libertà di parola per motivi strettamente politici, malgrado la stima e il valore dell’intelletto gli fossero riconosciuti ampiamente sia da Tacito che da Seneca, che nulla però, poterono contro il prevaricante potere dell’imperatore di turno.
Il conflitto tra potere e libero pensiero nasce proprio con la penosa vicenda di Cremuzio, un conflitto che ancor più degenera quando non sono idee a contrapporsi bensì dogmi fideistici.
In questo caso la censura liberticida si esalta ancor di più a difesa del pensiero unico … anzi del libro unico : quello delle verità rivelate.
Nell’anno 642, il califfo Omar motivò l’ordine di distruggere i libri della biblioteca di Alessandria con queste parole : «In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte».
Ma non da meno fu il buon pastore frà Gerolamo Savonarola il quale per salvaguardare l’integrità delle bibliche verità, il 7 febbraio 1497 dispose, a Firenze, un importante rogo di libri e opere artistiche di considerabile valore, essendo ritenuto materiale immorale, meglio conosciuto come “Falò delle vanità”.
Nel mondo moderno non dà più clamore l’ardere libri e con esso il libero pensiero, in quanto la evoluzione tecnologica, quantomeno renderebbe poco teatrale l’evento.
La barbarie dell’odierna intolleranza necessita invece di polverizzare quanto l’ingegno, unito alla fatica umana hanno tangibilmente ed inconfutabilmente prodotto a testimonianza delle facoltà creatrici del libero pensiero.
La distruzione delle vestigia di Ninive a Mosul desertifica ogni possibilità che le generazioni che ci hanno preceduto continuino a parlarci e trasmetterci così il loro pensiero, si interrompe il confronto delle ideee si impone l’unico dogma unica verità; non percependo che il passo dell’uomo sulla sabbia del deserto non lascia traccia, i granelli di polvere cancellano ogni passo.
Bruciare un libro significa colpire un’idea; distruggere un’opera implica colpire l’identità collettiva in cui l’idea vive racchiusa dal simbolo che vi è raffigurato. Ovviamente il simbolo è più pericoloso di un libro perché parla direttamente all’intelligenza di chi lo contempla, e quindi trasmette pensieri comprensibili da tutti, indipendentemente dal grado di istruzione. Il simbolo non necessita né di una rivelazione né della conseguente interpretazione autentica resa dal ministro di culto. Il simbolo non necessita di una fede per trasmettere la sua verità.
Il commento a questi fatti lo ha insperabilmente reso lo scrittore egiziano Youssef Zidan : “gli esseri umani possono regredire al rango di insetti”; personalmente condivido il monito di un uomo africano di nascita e universale nel pensiero sia esso filosofico che religioso , Agostino di Ippona : “temo l’uomo di un solo libro”!
di Vito Vincesilao