Cari Amici, ben trovati. Oggi, a distanza di anni, voglio raccontarvi la mia opinione circa quella serie su quel professore di chimica che, dopo aver scoperto di essere malato di cancro, decide di diventare un cuoco “speciale” per pagarsi le cure e per lasciare un po’ di grana alla famiglia dopo la sua dipartita.
Voi che siete gli alfieri della “Breaking Bad Generation” conoscete molto meglio di me i fasti in pompa magna che hanno ricoperto Vince Gilligan e il resto della banda di lustrini gloriosi. Bryan Cranston non è libero di starnutire che gli danno l’ennesimo Emmy come miglior attore protagonista. Le magliette con scritto “Bitch” o “Heisenberg” e compagnia cantando, sono diventate talmente tante che insieme assorbirebbero il Mediterraneo. Per non parlare di endorsement pregiati come quello di Anthony Hopkins, che inviò una lettera a Cranston in cui dichiarò di essersi innamorato della serie dopo averla divorata con un Binge Watching da sedicenne puberale.
Contraddire un cannibale non sarà la cosa più saggia del mondo, ma le mie impressioni sulla prima stagione di Breaking Bad sono assai negative. Innanzitutto è molle, moscia, lenta. La prima dello Schiaccianoci al San Carlo ha più suspense. La trama è poco credibile e i personaggi sono stereotipati: Pinkman il tossico, Hank il poliziotto duro e sbruffone che, e qui vado a naso, in realtà è corrotto. I dialoghi sono poveri e l’azione zoppica. Su Cranston alzo le mani, è davvero bravo, poi tutte le serie meritano tempo, figuriamoci quella che molti ritengono “La serie”. Però, abbiate pazienza, le premesse sono povere. E poi io sono uno di quelli che, quando nel 2009 si sitonizzavano i televisori su Fox per sottoporsi a questo anestetico mentale, saggiavo l’influenza che ha avuto Gerardo “Er Barbaro” sulla vita del Libanese. Ma che ne sanno? Se alla fine Breaking Bad si rivelerà bello la metà di Narcos, chiederò scusa