di Luca Canale – Presidente Provinciale FILP CISAL Napoli
L’annuncio di una nuova stretta sui dazi da parte del Presidente statunitense Donald Trump non è solo una scelta geopolitica, ma un potenziale terremoto economico per l’Italia, in particolare per il Mezzogiorno. A rischiare di più sono proprio quelle realtà imprenditoriali che hanno costruito la propria crescita sulla qualità, sull’export e sull’internazionalizzazione.
I primi segnali sono già chiari: le borse crollano, la fiducia vacilla, e l’Europa cerca soluzioni diplomatiche, come l’apertura della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen all’ipotesi di un accordo dazi zero-per-zero sui beni industriali. Ma in attesa di sviluppi, c’è già un sistema produttivo – quello del Sud Italia – che comincia a fare i conti con la realtà.
La Regione Campania, con la sua forza nell’agroalimentare, nella moda e nel settore automotive, è tra le più esposte agli effetti di questa manovra. Secondo le prime stime, solo nel comparto agroalimentare, l’impatto potrebbe superare il mezzo miliardo di euro in termini di riduzione dell’export verso gli Stati Uniti. E le ricadute non saranno solo per le grandi imprese: a risentirne sarà soprattutto la fitta rete di micro e piccole aziende che compongono l’ossatura produttiva del Mezzogiorno.
Ma il rischio non è solo economico. È anche occupazionale e professionale. Perché dietro ogni impresa che esporta, ci sono liberi professionisti, tecnici, consulenti del lavoro, commercialisti, formatori e operatori specializzati che contribuiscono a sostenere e sviluppare quei processi. Il blocco dei dazi non colpisce solo i container in porto: colpisce lo studio professionale, il lavoratore, il giovane che investe su una professione tecnica, il territorio intero.
Per questo, come FILP CISAL, ribadiamo l’urgenza di un’azione istituzionale concertata e concreta:
- mappatura dei settori più esposti,
- interventi di sostegno alle imprese penalizzate,
- incentivi alla diversificazione dei mercati di sbocco,
- tutela e valorizzazione delle professioni tecniche e di supporto all’export.
Serve una risposta fredda ma coraggiosa. Serve un’Italia che non subisca, ma che metta in campo una strategia di resilienza intelligente. E serve che i territori non vengano lasciati soli. Il Mezzogiorno non può essere il capro espiatorio di una tensione internazionale.
Il rischio è reale, e l’impatto potrebbe essere profondo. Ma proprio da questa sfida può nascere una nuova consapevolezza: che esportare qualità è un valore da proteggere, non un privilegio da penalizzare. E che difendere il lavoro significa anche difendere i canali che permettono al lavoro di esistere.