Nel panorama delle regole alimentari ebraiche è possibile distinguere una serie di norme prescrittive positive che hanno lo scopo di orientare le scelte e la condotta dei singoli in presenza di alcune circostanze, dai precetti a carattere interdittivo che vietano in modo perentorio, anche a causa del loro significato sacrilego, il compimento di un’azione o l’adozione di un dato comportamento. Al primo gruppo vanno ascritte tutte le disposizioni che stabiliscono la separazione tra animali proibiti e animali permessi, ammettendo tra questi soltanto gli esemplari indenni, non affetti cioè da
malattie, difetti o malformazioni di vario tipo, e quelle che consentono il
consumo delle carni a condizione che gli animali siano stati macellati secondo la tecnica rituale della shechità. Più articolato e ricco di implicazioni religiose appare invece il tema dei divieti alimentari che attengono principalmente alla consumazione di alcune parti dell’animale
(sangue, nervo sciatico, grasso), alla necessità di non mescolare le carni con il latte e i suoi derivati e di non ingerire sostanze in grado di mettere in serio pericolo la salute o addirittura la vita. Per la rilevanza che assumono nella vita quotidiana di ciascun ebreo sarà opportuno affidare la trattazione di tali prescrizioni a un’analisi dettagliata che ne illustri origine, natura e valore.
di Mosè Alise